Reddito di cittadinanza, scatta obbligo a lavorare per il Comune
Con la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, ha preso il via ufficialmente la seconda fase del reddito di cittadinanza. Fase in cui entrano in gioco i Comuni di residenza dei percettori del sussidio, che fino a questo momento non avevano avuto alcun beneficio.
Da ora in poi, i beneficiari del reddito di cittadinanza sono tenuti a svolgere lavori di pubblica utilità all’interno dei progetti utili alla collettività (PUC) sulla base di quanto stabilito non solo da decreto 4/2019, ma anche dal decreto attuativo pubblicato l’8 gennaio 2020 sulla Gazzetta Ufficiale dopo un accordo tra ministero del Lavoro e Comuni.
Il percettore del reddito di cittadinanza è obbligato a prendere parte ai progetti di pubblica utilità promossi dal Comune di residenza. I progetti utili per la collettività vengono svolti in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni. “I Puc – si legge sulla Gazzetta – non rappresentano un rapporto di lavoro e pertanto i lavori di pubblica utilità non sono da considerarsi prestazioni di lavoro autonomo, subordinato o parasubordinato.”
Le attività di pubblica utilità non devono superare le 8 ore settimanali, che possono essere espletate in un solo o più giorni della settimana;il beneficiario ha l’obbligo di completare le ore previste nel mese; in caso di flessibilità, le ore saranno recuperate successivamente;nel caso di ampliamento delle ore, fino ad un massimo di 16 settimanali, la flessibilità prevista per le 8 ore non è contemplata e i beneficiari devono svolgere settimanalmente le ore concordate.
La mancata accettazione della condizione stabilita dal decreto da parte di uno dei componenti del nucleo familiare determina la decadenza del reddito.