NEL RICORDO DI QUELLA GIOVANE ADOLESCENTE DAGLI OCCHI BELLISSIMI a cura del dr. Salvatore PUNGENTE
Ritorna con un suo articolo straordinario il dr. Salvatore Pungente. La realtà che Lui descrive , questa volta come protagonista di un evento infelice, è un avvenimento che dovrebbe farci vergognare come genere umano. A niente puo’ servire impegno e professionalità quando la malvagità umana si scaglia contro innocenti inermi. (il g. di t. )
NEL RICORDO DI QUELLA GIOVANE ADOLESCENTE DAGLI OCCHI BELLISSIMI a cura del dr Salvatore PUNGENTE
E’ sempre molto faticoso per un medico ricordare lo stato d’animo che si prova quando si ha un ammalato di fronte e lo si sta per perdere. E se poi quell’ammalato, quel paziente o quella persona e’ una ragazza di appena sedici anni, ecco che quella ferita diventata ormai cicatrice che hai dentro, proprio perché e’ stata toccata e sfiorata dal vivo ricordo, d’improvviso comincia a sanguinare. Ma è altrettanto vero che le cicatrici sono dei tatuaggi che hanno un significato ben preciso: quello di andare avanti e di farlo con coraggio. Qualunque cosa facciamo, qualunque evento viviamo in qualsiasi momento della nostra fragile vita. Quella mattina di dieci anni fa io ero uno dei due medici del pronto soccorso che stavano per smontare dal turno della notte, da un turno di guardia notturna fatto di momenti tristi ma anche di momenti belli perche’ salvare la vita delle persone provoca un sentimento indescrivibile oltre che impagabile. In ogni turno si vivono quelli che sono i vissuti dell’ammalato e pertanto si puo’ piangere come si puo’ anche sorridere se la Divina Provvidenza ha fatto anche la sua parte. Ero seduto con i miei infermieri nel box triage dell’accettazione, e nelle prime ore del nuovo mattino si scherzava e si commentavano le vicissitudini della nottata ormai passata. Poco dopo le 7.30 abbiamo udito un boato e lo abbiamo attribuito allo scoppio di qualche strano e magari artigianale petardo; in realtà di lì a poco ci e’ giunta la chiamata del 118 che ci ha preallertati parlandoci di un attentato e dell’imminente arrivo di numerosi feriti. Da quel momento in poi il tempo si e’ fermato e sono stato catapultato in una nuova dimensione dove tutti i miei sensi si sono quasi amplificati. I miei occhi ahimè ricordano ancora le tante numerose ambulanze che giungevano a sirene spiegate e con piu’ feriti a bordo, Ce li affidavano senza nulla spiegare di cosa stesse accadendo e ripartivano in tutta fretta. Le mie orecchie ahimè ricordano ancora le urla ed il pianto di tanti adolescenti e genitori, sembrava quasi di trovarsi nella scenografia di uno di quei film che spesso si vedono in TV. Il mio naso ahimè ricorda ancora l’odore acro di bruciato che si respirava, odore che proveniva dai vestiti e dalla pelle dei tanti ustionati. Le mie mani ahimè ricordano ancora il tocco di quelle fredde dita di quei tanti ragazzi sconvolti con i loro lucidi occhi dove si poteva percepire il terrore che avevano vissuto. Così come le mie mani ricordano l’abbraccio a quella giovane collega che per la paura e la disperazione si è quasi paralizzata, sedendosi per terra con le mani tra i capelli ed e’ lì rimasta per diverso tempo; lei era nei primi giorni di servizio nel nostro pronto soccorso. E la mia bocca ahimè ricorda ancora il disgusto per tutta quella violenza, quella gratuita ed atroce violenza mentre continuavo a ripetere la stessa frase: “….non e’ possibile e non puo’ essere vero!”. Un intero pronto soccorso, un ospedale, si e’ paralizzato quella maledetta mattina per l’arrivo di una decina di feriti seri, otto molto gravi e due gravissimi: Melissa e Veronica. Nell’ambulatorio dei codici rossi io ed il collega anziano (che avrebbe dovuto darmi il cambio) abbiamo gestito in contemporanea le due adolescenti, lui su Veronica ed io su Melissa. Eravamo una stessa persona, eravamo un unico pensiero, eravamo un unico fine. E’ atroce ritornare con la mente a quei concitati momenti. Di Melissa ricordo ancora i suoi bellissimi occhi, i suoi capelli, il suo stato di vigilanza diventare sempre piu’ labile e soprattutto il suo continuo chiedermi cosa stesse succedendo e perché non riuscisse a muovere il braccio. Io ero al mio quinto anno di palestra del pronto soccorso e vi assicuro che non avevo mai visto un corpo così martoriato da un politrauma di quella portata. Non c’è notte che non ricordi quel momento, quella giovane e bellissima adolescente di nome Melissa. Posso dire di aver vissuto la sofferenza, la dignitosa ed elegante sofferenza di quella giovane vita strappata ai suoi affetti per la malvagita’ di una delle malattie infettive piu’ contagiose in assoluto: l’ignoranza. Nella vita ci ritroviamo ad affrontare tante sfide forse perché abbiamo bisogno di imparare cose nuove, e la vita e’ una vera palestra come amava dire compare don Tonino Bello, una specie di cantiere dove ognuno si rimbocca le maniche. Ma dopo aver rimboccato le maniche bisogna lavarsi le mani, e non solo per evitare la ancora diffusa presenza del virus (la pandemia non e’ terminata!!!) ma soprattutto per toccare il cuore della gente. Ed il cuore delle persone non può assolutamente essere toccato dalla violenza.
doc Salvatore Pungente