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Nuovo e importante progresso nella conoscenza e nella comprensione dei meccanismi di malattia provocati dal batterio Xylella negli ulivi. Il Leccino, la cultivar di ulivo resistente al patogeno Xylella fastidiosa

Nuovo e importante progresso nella conoscenza e nella comprensione dei meccanismi di malattia provocati dal batterio Xylella negli ulivi. Il Leccino, la cultivar di ulivo resistente al patogeno Xylella fastidiosa
Fonte : la Gazzetta del Mezzogiorno
Nuovo e importante progresso nella conoscenza e nella comprensione dei meccanismi di malattia provocati dal batterio Xylella negli ulivi. Il Leccino, la cultivar di ulivo resistente al patogeno Xylella fastidiosa, sottospecie pauca, genotipo ST (Sequenza-Tipo) 53, ha evidenziato due linee di difesa significative: la produzione di una matrice simil callosio che intrappola il batterio e la resistenza operata dalle pitmembranes, strutture porose che mettono in comunicazione condotti dello xylema adiacenti, meno aggredibili da parte degli enzimi di degradazione del batterio. Linee di difesa che, purtroppo, non ha evidenziato e quindi non sono state osservate nella Cellina di Nardò. Sono alcuni dei rilevanti risultati della ricerca in laboratorio del gruppo del Cnr di Bari-Istituto per la Protezione Sostenibile delle piante. Risultati che consentono una lettura scientifica di quanto finora è stato osservato in campo, con i Leccini che resistono al processo di disseccamento e invece Celline e Ogliarole che non ce la fanno.
Dice Pasquale Saldarelli, biologo e coordinatore della ricerca che ha coinvolto sette studiosi: «Possiamo dirlo, è un progresso rilevante. E’ uno studio in microscopia elettronica, disciplina e tecnologia nelle quali l’Ipsp Cnr ha da sempre costituito un riferimento internazionale. Grazie al nostro Angelo De Stradis, abbiamo osservato, dapprima in microscopia ottica, la struttura dei condotti xilematici del Leccino, resistente, e Cellina di Nardò, suscettibile, in corrispondenza delle occlusioni presumibilmente indotte dagli aggregati del batterio; successivamente, le stesse aree le abbiamo osservate in microscopia elettronica a maggiore ingrandimento. Nelle immagini relative alla Cellina il batterio attraversa una pit membrane che connette due vasi adiacenti. In quelle del Leccino, al contrario, possiamo osservare la produzione di una matrice di tipo callosio che ha la funzione di intrappolare e limitare la diffusione del batterio».
Lo studio è stato pubblicato dalla Plant Pathology, la autorevole rivista scientifica della British Society of Plant Pathology, e quindi messo a disposizione della comunità scientifica internazionale. Con questo lavoro il gruppo di Bari, coordinato da Maria Saponari, si conferma un riferimento sicuro della ricerca sulla patogenesi di Xylella fastidiosa e nella descrizione delle alterazioni cellulari nelle piante. Gli altri ricercatori sono Vito Montilon e Raied Abou Kubaa, agronomi come De Stradis e la stessa Saponari, e le biologhe Annalisa Giampetruzzi e Giusy D’Attoma; biologo è anche Saldarelli. Il responsabile della Ipsp Cnr di Bari è Donato Boscia.
L’età media del gruppo è di 42 anni. Saldarelli, 61 anni, ha l’entusiasmo di un giovane ricercatore ed è profondamente legato allo spirito dei fondatori della scuola di Bari, del compianto Giovanni Martelli, il fitopatologo che nel 2013 individuò nel batterio Xylella fastidiosa la causa dei disseccamenti degli ulivi nella campagna di Gallipoli. Individuazione, identificazione, caratterizzazione del batterio, studi sul genoma, dinamiche di diffusione della malattia, ruolo e ricerca sull’insetto vettore, Philenus spumarius (la cosiddetta «sputacchina») con le sue fasi evolutive: tutto quello che si conosce sulla malattia degli ulivi e di altre 35 specie lo si deve al gruppo di Bari.
Adesso è la volta di quello che accade «dentro» le piante. Sottolinea con fervore Saldarelli: «Xylella fastidiosa vive e si replica nello xylema, una rete di canalicoli, comunicanti tra di loro, che conducono acqua e sali minerali, assorbiti dalle radici, alle foglie. L’affascinante meccanismo con cui avviene questo assorbimento, assolutamente non dipendente da impieghi energetici e fondato su leggi idrauliche, è noto come “coesione-tensione”. L’assorbimento si genera per una pressione negativa, all’interno dello xylema, determinata dall’evaporazione dell’acqua a livello fogliare. Evaporazione che avviene attraverso gli stomi, piccoli pori presenti sulla pagina inferiore delle foglie, in connessione con il sistema di canalicoli dello xylema. Se la pianta soffre di una carenza di acqua chiude gli stomi per evitare di disidratarsi. Immaginiamo Xylella che occupa alcuni di questi canalicoli, e lo fa con una comunità di cellule immersi in un “biofilm” di diversi composti, queste aggregazioni provocano l’ostruzione dei canalicoli xilematici, interferendo così il trasporto dell’acqua nello xylema. Ecco il danno, e questo è solo uno dei meccanismi».
Al centro di un altro studio è proprio l’analisi dei meccanismi di apertura/chiusura degli stomi, in relazione alla misurazione del “potenziale idrico”. La Cellina di Nardò chiude gli stomi per difendersi ed entra in stress idrico, cosa che invece avviene in modo più lieve nel Leccino e nella Fs17, la Favolosa.
Questo però riguarda solo parte del meccanismo che provoca il danno indotto dal batterio, l’interazione di Xylella con i tessuti della pianta è dal punto di vista fisiologico e molecolare molto più complessa e variegata. Molte indicazioni riportano al patrimonio genetico delle cultivar. I ricercatori di Bari sono pronti ad affrontare un’altra sfida, forse quella decisiva per arrivare alla selezione di una decina di cultivar resistenti. L’obiettivo è identificare marcatori, cioè sequenze del Dna, nelle cultivar resistenti, utilizzabili nella selezione delle cultivar tra gli oltre mille incroci in coltura in una serra specializzata nella campagna di Gagliano del Capo, nell’azienda ForestaForte di Giovanni Melcarne, sulla collinetta ai margini estremi della Puglia, proprio di fronte a Santa Maria di Leuca.

 

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