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POVERA LINGUA ITALIANA A cura del Preside prof. Luigi Pranzo

POVERA LINGUA ITALIANA

A cura del Preside prof. Luigi Pranzo

L’espansione della lingua inglese in quella italiana non è una novità, perché stiamo assistendo all’intromissione di vocaboli stranieri nella nostra lingua dall’inizio del 1900; dapprima con vocaboli francesi e successivamente, fino ai giorni nostri, con vocaboli inglesi. I francesismi riguardavano la lingua dell’élite, mentre gli anglicismi, oggi, rappresentano un fenomeno di massa di vasta portata, grazie all’utilizzo dei social. Durante i mesi della pandemia, infatti, abbiamo notato, una veloce espansione di termini inglesi, anche da parte dei Ministeri. Si è parlato di “ timing” della pandemia, per indicare il “ calendario “ – “ la temporizzazione “ della epidemia; abbiamo appreso che il termine “ droplet “ sta ad indicare le “ goccioline “ che si emettono durante uno starnuto o quando si parla; poi si è parlato delle “ devices “ scolastiche, per indicare i dispositivi scolastici, la “ task force “ altro non è se non l’ “ unità operativa “, di pronto intervento ed infine il famigerato “ lockdown “ che, per noi italiani poteva rimanere benissimo la parola “ confinamento “ – “ isolamento “. L ‘elenco è infinito;! Un linguista si è preso la briga di contare gli anglicismi che si sono integrati nel nostro tessuto linguistico e ne ha trovati alcune migliaia. Posso anche capire che molti anglicismi siano entrati nella nostra lingua per una certa comodità lessicale perché, molte volte, un concetto è stato rappresentato da un semplice monosillabo: boom – fan – stress – staff – star – shop – show. Tuttavia, nell’uso che facciamo degli anglicismi non sono entrate soltanto queste parole, per la loro facilità di pronuncia e per la loro brevità, sono entrate anche alcune parole lunghe e fastidiose da pronunciare, che noi preferiamo, non si sa perché, a quelle italiane: “ misunderstanding “ per dire semplicemente “ equivoco “ in lingua italiana, o “ leader “ lo preferiamo a “ capo “ o “ competitor “ a “ rivale “. Molto spesso questi anglicismi entrano nella nostra lingua con una tale velocità da non lasciare il tempo di riflettere sulla loro inutilità, dal momento che noi possediamo il termine di significato equivalente che è molto più preciso e più facile da pronunciare. Pensiamo, per esempio al termine “ spread “ che in italiano si traduce con il semplice termine “ divario “ – “ scarto “ tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. Lo stesso dicasi per “ fake nwews “ introdotto nella nostra lingua dai giornalisti come una grossa novità, quando noi abbiamo il termine “ notizie false – bufale – falsi “ . Allora, qui non si tratta più di termini da pronunciare velocemente e densi di significato, qui si tratta di un fatto di moda; si tratta di un certo snobismo, di una tendenza innovativa alla quale si fa ricorso per non sentirsi esclusi. Non c’è, quindi, in gioco un fattore linguistico, ma sociologico e psicologico. Qui si tratta di un complesso di inferiorità che si prova nei riguardi dell’inglese; c’è una caduta di autostima verso la propria cultura, quando si vuol riconoscere ad ogni costo che la lingua inglese ha una varietà di vocaboli che riescono ad esprimere un concetto con una naturalezza tale da non trovare paragoni nella lingua italiana. La verità è che negli anglicismi, colui che ne fa abuso, trova una modernità ed una certa internazionalità. Non si spiegherebbe il termine “ restyling “ come sostituto del termine italiano “ ristrutturazione “ – “ rimodernamento “ e talvolta si vuol essere anche creativi rispetto al lessico inglese, tanto da utilizzare il termine “ smart working “ per indicare un modalità di lavoro, svolto da casa“ agile ed intelligente “, invece di utilizzare l’espressione inglese “ Working from home “ – lavoro da casa – molto più aderente alla realtà ed usata con l’acronimo WFH negli annunci pubblicitari dei quotidiani inglesi. Evidentemente crediamo poco nella nostra lingua e nella nostra cultura, diversamente reagiremmo di fronte a questa colonizzazione linguistica e culturale, come avviene in Francia, Spagna ed in molti altri paesi europei. Forse questo enorme uso serve a dimostrare di conoscere una lingua straniera? Un conto è imparare a parlare una lingua straniera, come si fa, e bene, dappertutto, tranne che in Italia, un conto è voler distruggere la propria cultura e la propria lingua.
Eppure “ l’indole della nostra lingua è capace di leggerezza, spirito, brio, rapidità e gravità; essa è capace di esprimere tutte le sfumature della vita sociale “, ma non è capace di assorbire in sé un’indole “ forestiera “, sosteneva Giacomo Leopardi in ( Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura ) Pag. 1946 – 1947. Purtroppo, non ha avuto ragione!

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