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RIFLESSIONI DELLA SETTIMANA SANTA DI MONS. LUCIO RENNA

 

La Chiesa del Convento dei PP: Carmelitani

 

I TRE GIORNI…

L’evento più drammatico e glorioso che la storia del mondo ha vissuto, si snoda lungo le ore di tre giorni che, con reminiscenze teatrali, potremmo immaginare come tre atti di un unico dramma sacro. L’evento celebrato inizia nella fioca ma amica luce del Cenacolo (giovedì), passa attraverso il tunnel sinistro e buio del processo più malsano e più falso che giustizia umana abbia imbastito (venerdì) ed esplode nel fulgore della Domenica per eccellenza, il terzo giorno, quello del Risorto.
Primo atto: in un bel salone al piano superiore si ritrovano, Gesù e apostoli, per consumare l’ultima (per loro) cena ebraica. Un’atmosfera ineffabile avvolge cose e persone; un che di misterioso con guizzi, quasi impercettibili, di ansiti e pensieri sinistri. Tutto è impalpabile, confuso e, al tempo stesso, carezzato da un chiarore sacro indescrivibile. Nulla di spettacolare, sia ben chiaro; ma comunque, quando fa sera, tutto è grandioso nella sua essenzialità. Si respira il mistero. Nessun personaggio, tranne Gesù e, per un solo particolare di sapore amaro, anche Giuda, nessuno conosce cosa sta per accadere. Tutti, però, vibrano dentro, nella luce del crepuscolo e poi delle lampade ad olio accese sulla mensa. Cosa sta per accadere? Gli apostoli non hanno ricevuto un canovaccio, come gli attori odierni dei misteri sacri.Non hanno memorizzato parole e gesti per interpretare la loro parte. Contenti di stare insieme col Maestro, avvertono però la dolce amarezza di una puntura nelle loro menti e nei loro cuori. La gioia, tuttavia, riempie la scena e fa dimenticare quella strana, fastidiosa puntura di spillo. I personaggi quasi non parlano, ma ascoltano, orecchi, mente e cuore aperti, il Maestro. Il Verbo si effonde sulla comunione, sulla fraternità. La commozione afferra tutti, proprio tutti, quando il Maestro implora il Padre perché i presenti siano un cuore e un’anima sola. Indubbiamente tutti, anche l’Iscariota che sobbalza a quelle parole e quella preghiera… Una cascata di pietre roventi si riversa nel suo animo nero; rumina, mastica, si avvelena sempre di più; ama e odia, allo stesso tempo, il primo Attore; vorrebbe chiudergli la bocca; distruggerlo all’istante; sbarazzarsene; si sente graffiato dalla Voce che dice, dice e non smette mai. I suoi occhi cambiano colore ad ogni momento… lividi… pieni di rabbia… gonfi di odio… rossi di livore. Tra lui e il Nazareno c’è un gioco di sguardi: severo ma benevolo quello di Gesù, furioso, freddo e sempre più inasprito quello di Giuda. Ma nessuno degli astanti se ne accorge, attenti come sono a respirare la presenza, gustare i gesti, dissetarsi e sfamarsi a quello che dice e fa il Maestro. Non afferrano la tragica portata dell’invito di Cristo a Giuda: “Quello che devi fare, compilo subito”; e non si meravigliano che un loro compagno lasci la sala ed entri nell’oscurità della sera gerosolimitana, nel buio del tradimento più vile che si possa immaginare. Di fulgore spirituale risplende la lavanda dei piedi fatta dal Maestro inginocchiato dinanzi agli apostoli. Umiltà da vertigine! Di splendore più intenso sfolgora Gesù quando sostituisce la cena ebraica con la Cena Eucaristica. Egli si inventa il modo più bello, anche se il più incomprensibile per la ragione umana, per restare con la sua umanità in mezzo ai fratelli e alle sorelle di ogni spazio e tempo. Istituisce il Sacramento dell’Eucaristia che, viatico d’immortalità, è il pane spezzato e il vino versato, simboli esteriori del corpo che si immola e del sangue che si versa per la nostra salvezza.
Secondo atto inizia a notte inoltrata nel giardino del Getsemani. Il Maestro comincia a vivere “la Sua Ora” per la quale Lui, il Verbo eterno, era disceso dal cielo, si era incarnato nel grembo verginale di Maria di Nazaret, e, uomo come noi in tutto, tranne il peccato, era nato tra i senza voce (anawim), tra gli ultimi, tra i poveri. Il giardino del Getsemani richiama il giardino dell’Eden. In questo si era consumato un atto di disobbedienza a JHW, in quello viene pronunciato il Sì più tragico e glorioso della storia; e il Nazareno percorre il dolorosissimo tratto di cammino verso il Golgota con il bacio del tradimento. Prosegue con l’arresto, la prigionia notturna (in un fosso profondo tuttora visibile). L’alba di venerdì è rossa come il sangue innocente che sta per essere sparso sulla terra. Alba, preludio di orrori e di errori, uno più iniquo e doloroso degli altri. Alba senza sole, senza luce, senza pace, senza un briciolo di tenerezza umana. Alba livida, attraversata dal sibilo sinistro del serpente; alba che partorisce la giornata più cattiva, tragica, dolorosa della storia. Alba che si vergogna di se stessa e si disperde nella foschia, umida, asfittica, ruginosa di ore che eseguono danze macabre. Il Nazareno viene ruvidamente tirato fuori dalla fossa. Il suo corpo pregusta la morte mentre urta contro le pietre di quel buco infame dove ha pianto lacrime di sangue ma anche di piena disponibilità al Padre ad affrontare il giorno mostruoso che Gli si parava dinanzi. Gli aguzzini martoriavano un Uomo, ma non sapevano che Egli era anche Dio: umanità e divinità ipostaticamente unite nel corpo sfigurato di Colui che veniva e viene cantato come “il più bello dei figli di uomo”. Nel frattempo, il fulvo Nazareno, cominciava ad assumere l’inguardabile aspetto di ammasso di carne umana preconizzato da Isaia profeta (cap. 53). Fatti e misfatti del Venerdì delle tenebre sono arcinoti, come gli stessi personaggi che riempiono la scena. Una serie di “quadri viventi” terribili, inquietanti, ma accarezzati dal tenue, delicato e forte venticello della speranza. Infatti, quando tutto cadeva nel buio cupo, frustante, pauroso, si espandeva, invisibile agli occhi di carne ma percepibile da anime pentite, la forza della speranza. L’Ora, quella del Golgota, è il punto fermo del giorno della Redenzione. Gesù, ormai sfibrato nel corpo ma fermo e forte nello spirito, moriva come malfattore negli spasmi procurati da flagellazione, chiodi, croce, insulti, sputi. Erano le 15. Il buio crebbe; la terra attonita fu avvolta dalle tenebre e da un silenzio di mistero. Anche noi, oggi, viviamo giorni e ore di terrore, di malattia, di morte con la pandemia del coronavirus. Il buio del Venerdì santo venne forato dalle lucerne accese nelle case di Gerusalemme. Speriamo che anche il buio odierno venga sconfitto dalla luce della fede che sembra accantonata da moltissimi/e di noi. Ricordiamoci, però, che Dio è più forte e che al Venerdì segue la Domenica. Agli inizi della pandemia, eravamo in molti a dire che, una volta essa superata, tutto sarebbe cambiato. Speriamo in un futuro di risurrezione dell’umanità.
Terzo atto – L’alba del “terzo giorno” si colorava di una luminosità delicata, mistica, carica di sfumature mirabili di luce irreale. Era iniziata la Domenica di Risurrezione. Quando? Non è dato sapere con esattezza, né ci importa poi tanto. Ricordiamo però che il Nazareno aveva parlato di “tre giorni” per ricomporre il tempio distrutto. Egli alludeva al suo corpo, mentre chi lo ascoltava pensava al tempio di pietra. L’alba radiosa del terzo giorno, un’alba incredibilmente bella che rischiarava di luce ineffabile cielo e terra. Tutto il creato era in festa. Aria di festa dovunque. Lassù. Quaggiù. Tre donne, meste in viso, si recavano al sepolcro. I loro occhi erano gonfi di pianto; le pupille ingemmate di lacrime. Tacevano. Si direbbe che avessero paura di parlare. Avvolte dal trionfo dell’alba, sentivano il contrasto del loro cuore con essa. Bisbigliavano appena. “Chi farà rotolare il macigno?” Ma camminavano; anzi affrettavano il passo. Giunte alla tomba, la vedevano spalancata. Il macigno che lo ostruiva era rotolato. Vedevano un angelo che infondeva la gioia nel loro cuore: Gesù è risorto! Ritornarono indietro per dare notizia dell’incredibile evento agli apostoli… Il resto lo sappiamo dal Vangelo. Pasqua è la festa delle feste: morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello e la vita ha trionfato. Alleluia! Alleluia! Cristo è il Vivente. L’ammasso di carne sanguinante e rantolante è, ora, il Nazareno, col suo corpo glorioso, che svetta col vessillo della risurrezione. Il suo sorriso ci incoraggia a chiederGli:
“Ci sarà una risurrezione
del corpo in disfacimento
dell’umanità attonita,
smarrita, confusa?
Ci sarà il terzo giorno
per chi si ripiega nel suo pianto,
e si sente prigioniero
delle tenebre del momento?
È in atto un mirabile duello
in questa pandemia di morte:
trionferà la vita?
O Cristo, primogenito dei morti
che, dagli abissi degli inferi,
sei asceso nello splendore
del più alto dei cieli,
vieni a tirarci fuori
dal buco oscuro della pandemia,
dal buio di atroci dolori
che ci incatenano,
schiavi del male crudele
che continua a serpeggiare
nelle nostre anime spente.
Riaccendi la fiaccola della fede,
o Trionfatore nel terzo giorno,
sicché la Tua luce
rischiari e spiani il cammino del
nostro errabondo pellegrinare.
Aiutaci a vivere e
cantare con Te
l’alleluia della vittoria”.

+ Lucio Renna
Vescovo Carmelitano

GIOVEDÌ SANTO

Se guardo al Cenacolo, vedo la santità di un evento incredibilmente sublime e sacro; se guardo al tempio, mi sento raggiungere da un terribile brivido di orrore e di paura. Giovedì, dunque, santo e diabolico al tempo stesso.
Nel Cenacolo si respira il profumo della sacralità; l’intensità incommensurabile di un dono che Dio fa di Sé stesso all’umanità; l’umiltà di un gesto scarno ma altamente paradigmatico: la lavanda dei piedi che Gesù compie nei confronti degli apostoli, il Maestro riguardo ai discepoli, l’Uomo Dio ad insegnamento di creature umane.
Nel Cenacolo c’è la Santità, Cristo, Verbo di Dio, che compie in forma essenziale, quasi scarna, gesti d’amore infinito che dureranno per secoli e secoli nella ripetizione esistenziale e sacra degli Apostoli e dei loro successivi riti; gesti eucaristici, dinanzi ai quali la ragione umana si confonde, ma il cuore si spalanca a contemplare, respirare, gustare un amore ineguagliabile, vertiginoso, salvifico.
Immaginiamo di essere presenti in quella sala e respiriamo a pieni polmoni la santità del mistero di Dio-Amore. Tutti e tutto sono rivestiti da una luminosità impareggiabile non dalle lampade accese sulla Mensa, ma dal Cuore sacro del Nazareno che si palesa non come una semplice fiamma bensì come un grande falò radiante di splendore senza minime ombre. Come sul Tabor tre apostoli, anche noi avvertiamo l’inesprimibile gioia del contatto con l’Eterno ed esclamiamo: “Come è bello per noi restare qui”. Una dolcezza inimmaginabile, si estende sulle nostre anime: una specie di estasi che ci introduce in atmosfere rarefatte ma spiritualmente dense di sacralità misteriosa, gaudiosa, rasserenante, orante. “Come è bello per noi stare qui!”. Tanto bello che ci accorgiamo appena dell’Iscariota che fugge nel buio della sera gerosolimitana. Gli apostoli e noi stessi non chiediamo spiegazione, né ci premuriamo di fermarlo. Egli va, anima in pena, verso il tempio. È atteso, con impazienza frenetica, da “coloro che contano” in città e che hanno deciso di fermare il cammino benefico e missionario del Nazareno. Giuda ha l’inferno nel cuore… arde di rabbia, di invidia, di egoismo e di tutti gli ismi possibili e immaginabili. Mentre nella Sala al primo piano il profumo di santità e di mistero diventa sempre più avvolgente e rigenerante; intorno a Giuda, anche nel tempio, dinanzi ai compratori di nequizia, si estende un deserto scabro, aspro, amaro e un terrificante e asfissiante odore di zolfo: il divisore si dà da fare per annullare opere e vita di quel Gesù che, nel deserto e sul pinnacolo del tempio, si era negato alle sue torbide sollecitazioni. Ora, cambiando tattica, si serve di un apostolo, Giuda, per eliminare definitivamente il figlio orfano del falegname di Nazaret.
Il cammino di Giuda… zigzagante come un ubriaco… fatto di passi accelerati e di soste… puntellato di pensieri sinistri e di improvvise invettive… di sguardi lividi verso la sala lasciata e rabbiosi verso il luogo dell’incontro coi ministri di Molock, pronti ad annientare il Nazareno che disturba e mette allo scoperto il loro continuo malaffare contro il popolo amato dal Signore. Nel tempio, luogo sacro, Giuda vende e i sommi sacerdoti comprano il tradimento più vile e malvagio verificatosi sulla terra.
Forse questo patto sanguinario e sacrilego si compie nello stesso momento in cui Cristo pronuncia le parole della trasformazione eucaristica: “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue… mangiate… bevete per la salvezza eterna”.
Sera gerosolimitana, che hai fatto da sfondo alla celebrazione dell’Amore più grande e del più grande tradimento, resti nella nostra memoria indelebile come punto fermo di una sinfonia celestiale e, purtroppo, anche infernale.
Sera gerosolimitana, aurora della Nuova alleanza ed anche, ahimè, notte della tregenda, se puoi, ferma il buio che avanza e avvolge cose, case, persone ma, specialmente, il manipolo di prezzolati collaboratori, in quel frangente, dei malvagi.
Sera gerosolimitana… non diventare notte… se ne hai potere e forza… ma spalanca la porta dell’amore, sì che vi possano entrare le creature ed incontrarsi col Creatore.
Sera gerosolimitana…

+ Lucio Renna
Vescovo Carmelitano

 

VENERDÌ SANTO

Mi inginocchio per meditare ad alta voce sul Venerdì santo e, nel suo contesto generale, sull’Ora di Gesù che sfolgora di luce straordinaria nelle tenebre che vorrebbero offuscarla. In ginocchio, capo chino, anima adorante e mente attonita, mi colloco nel vortice di fatti e misfatti, i più benefici e sinistri che si possano immaginare. Benefici, quelli che si riferiscono al Nazareno; sinistri, quelli generati dalla cattiveria umana esasperatamente odiosa, rabbiosa, subdola e iniqua che non conosce tregua. In ginocchio, capo chino e anima adorante, guardo Lui, il protagonista principale e mi pare di sentirGli dire: “Io sono”. Egli è il dominatore dello spazio di tempo che va dalla notte inoltrata di giovedì, fino alle 15 del venerdì susseguente. Chi mai potrebbe fissare su pagine, su tele, su pentagrammi l’orologio del processo, passione e morte di Cristo. Molti hanno tentato, producendo veri capolavori da ammirare; ma il recondito, profondo, umanissimo e divino mistero dell’evento è talmente alto, ricco, complesso, che il suo di più resta tuttora inespresso. In ginocchio e con umiltà sosto in contemplazione. Mi affascina, mi addolora, mi stordisce e rapisce il Nazareno mentre, con la moviola mossa dal cuore, lo adoro. Mi commuovo nel vedere come la nequizia umana riesca a sfregiare, deturpare, sporcare, sfigurare “il più bello dei figli di uomo”. E, volgendo per un attimo, lo sguardo attorno, vedo Giuda agitarsi e poi impiccarsi; i notabili di Gerusalemme, stracciare, non tanto le loro vesti, ma i loro cuori e gettarne i brandelli nella geenna; il popolo, aizzato da costoro, che sembra un branco di cani latranti e digrignano i denti quasi volessero sbranare qualcuno che non molto tempo prima avevano osannato; i soldati, veri aguzzini, che obbediscono a comandi iniqui e infieriscono vieppiù sul corpo fracassato del condannato; le donne, in gruppo attorno a Maria, che piangono lacrime brucianti; i discepoli che si eclissano o nascondono nella folla famelica; le autorità sacerdotali e civili che traccheggiano come nave schiaffeggiata dai marosi e che, alla fine, decretano e/o permettono l’esecuzione della condanna infamante non Cristo ma l’umanità, la gente, tutti gli uomini direttamente o indirettamente. In ginocchio per non sbandare e cadere io stesso, pur nel mio peccato, mi infiammo di sdegno verso la plebaglia… vorrei fermarla… ma vengo travolto dall’orda inferocita. In ginocchio, mi batto il petto per i miei peccati e alzo lo sguardo verso Lui. Lo imploro: “O Cristo, uomo integro, pulito, obbediente, compassionevole, chi e perché ti hanno ridotto così? O Cristo, vero Dio che tutto puoi, perché appari come lo sconfitto di una storia macabra, indecentemente vergognosa? Tu hai fatto delle scelte mirate e mirabili da quando, uscendo dal seno del Padre, sei disceso sulla terra ed ora ti ritrovi tra gli scartati, tra le creature da evitare perché contagiano col virus del male. Chi te lo ha fatto fare?”. Tu mi rispondi di aver voluto obbedire al Padre e di aver agito con e per amore.Devo, allora, scostare dai miei occhi le cataratte del ribrezzo, per intravedere nello squallore del tuo corpo fracassato, lo splendore della tua umanità e la gloria della tua divinità. Nei luoghi del processo, nel cammino verso il Golgota, sulla croce e adagiato sul grembo che ti aveva partorito, vedo solo un ammasso sanguinolento e non un uomo, né tantomeno un Dio. In ginocchio, vincendo la ripulsa dell’immagine, in Te adoro l’Amore divino. Sparisce l’immagine terrificante e vedo, con gli occhi dell’anima, il tuo sacro volto, o Cristo. Tu stesso mi tendi una mano luminosa per accarezzarmi, prima, e trarmi fuori poi dall’abisso nero, verso la luce della tua Ora gloriosa, perché drammatica per amore. In ginocchio, Ti adoro; Ti prego: “perdonami, Signore”. Accetta la mia preghiera:
“Tu non arresti il passo
e non trattieni la parola:
cammini docile verso la tua Ora.
Il bene annunci,
denunci ogni errore
che anime inganna
e incatena l’amore.
E cammini, Gesù,
verso quell’ora
in cui, in un mirabile duello
l’uomo, dal divisore liberato,
diventerà, di nuovo bello,
a immagine di Colui
che per amore lo ha creato.
E cammini, Nazareno,
sofferente ma sereno,
verso l’ora del Calvario
(cumulo di tantissime ore
che continuano in modo vario),
dove Tu atrocemente muori
per liberarci da velenosi errori”.

+ Lucio Renna
Vescovo Carmelitano

 

 

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