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Sabrina Misseri per trascorrere la licenza premio aveva scelto un ex monastero di suore di clausura

Sabrina Misseri per trascorrere la licenza premio aveva scelto un ex monastero di suore di clausura
La domanda è stata respinta anche dalla Cassazione
Fonte La Voce di Manduria

Se le fosse stato accordato il permesso di lasciare il carcere dove sta scontando l’ergastolo per l’uccisione della cugina, a Sabrina Misseri sarebbe toccato un percorso spirituale nello storico ex monastero di clausura di Taranto «Casa Madre Teresa di Calcutta». Era questa l’opzione proposta per lei dal suo avvocato Nicola Marseglia che con il professore Franco Coppi assiste da sempre la trentaquattrenne di Avetrana protagonista con l’intera sua famiglia Misseri, del fatto di cronaca tra i più cruenti e discussi d’Italia: quello dell’omicidio ad Avetrana della quindicenne Sarah Scazzi per la quale tre corti di giustizia hanno condannato all’ergastolo Sabrina con sua madre Cosima Serrano e a otto anni il padre Michele Misseri. A respingere la richiesta di licenza premio che all’estetista di Avetrana avrebbe permesso di lasciarsi alle spalle, per dieci giorni, le porte del carcere di Taranto dove è rinchiusa dal 15 ottobre del 2010, è stato il Tribunale di sorveglianza di Taranto e infine la Corte di Cassazione.

Nessuno dei giudici interessati al caso si è convinto dell’assenza della pericolosità sociale di Sabrina che aveva chiesto di trascorrere il periodo delle feste di Natale del 2020 (risale a dicembre di quell’anno la prima istanza respinta), tra le mura del centro di accoglienza gestito dalla diocesi tarantina, «oasi di spiritualità per singoli e gruppi che vogliano trascorrere del tempo in preghiera», così come la pia struttura si presenta sul sito internet del Servizio Informazione Religiosa (Sir). Il luogo spirituale in via della Transumanza donato alla diocesi dalle ultime suore di clausura e inaugurato nel 2017 dall’arcivescovo Filippo Santoro, era stato accordato dagli attivisti dell’associazione di volontariato penitenziario, «Noi e voi onlus», con i quali Sabrina ha rapporti quasi quotidiani nel carcere Carmelo Magli di Taranto. Una scelta ben ponderata dall’avvocato Marseglia consapevole della necessità di dover trovare un luogo estraneo al contesto familiare nell’ambito del quale si è verificato il delitto e che una scelta contraria sarebbe stato motivo di rifiuto del giudice. Tutto inutile perchè la natura del luogo dove trascorrere il permesso, scrivono i giudici della corte suprema nella loro sentenza che respinge la domanda di revisione dell’ordinanza dei giudici di Taranto, «non è decisiva ove si consideri che l’accertata persistente pericolosità sociale preclude qualsiasi valutazione concernente l’idoneità del luogo prospettato per la fruizione del permesso premio». Nei suoi giorni svaniti di libertà Sabrina aveva chiesto di potere incontrare il suo avvocato e i suoi parenti più stretti già abilitati alle visite in carcere. Sua sorella Valentina, per prima, che vive a Roma con il marito e i parenti di parte materna di Avetrana e San Pancrazio Salentino. Naturalmente l’ospite durante la sua permanenza non avrebbe negata qualsiasi supporto richiesto, compresa l’attività di assistenza al gruppo di stranieri di richiedenti asilo che ospitati nella stessa casa famiglia. Desiderio svanito anche per loro.
La condanna

A Sabrina era andata invece bene una precedente richiesta di agevolazioni di pena, sempre curata dall’avvocato Marseglia, grazie alla quale ha ottenuto oltre un anno e quattro mesi di liberazione anticipata per il periodo di detenzione patito dal 15 ottobre 2010 al 15 ottobre 2016. È il riconoscimento di un diritto previsto dall’ordinamento carcerario che in presenza di buona condotta abbuona 45 giorni di detenzione ogni semestre trascorso in carcere. Questo diritto che deve sempre passare attraverso istanze da sottoporre a giudizio del tribunale di sorveglianza, ha fatto già accumulare circa tre anni di anticipo della data di scarcerazione. Secondo questi calcoli, con gli sconti previsti Sabrina ha già consumato quasi 15 anni di pena. L’ergastolo non ostativo come quello che sta scontando lei e sua madre Cosima, prevede che allo scadere dei 26 anni potrebbero lasciare il carcere in regime di libertà vigilata e se nei cinque anni successivi confermano la buona condotta e non commettono reati, a 31 anni scontati potranno tornare libere cittadine.

Nazareno Dinoi su Quotidiano di Puglia

 

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