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Riceviamo e pubblichiamo- “LA MATTANZA” a cura di Mons. Lucio Renna

Riceviamo e pubblichiamo- “LA MATTANZA” a cura di Mons. Lucio Renna

Non riesco a dipanare la matassa socio-ecclesiale di fatti e misfatti che si susseguono a ritmo serrato ogni giorno.

In ogni latitudine e longitudine del mondo si verificano un mucchietto di positività e una montagna himalayana di negatività.

La tragedia più cruda e graffiante è la mattanza umana nelle guerre, vere sconfitte per tutti, e le uccisioni di uomini, di donne in numero crescente, anziani e bambini (alcuni sepolti vivi appena nati).

Non c’è giorno che dappertutto si verifichi una diabolica mattanza umana.

Le vere motivazioni per le guerre sono conosciute dai prepotenti di turno… ma, in fondo, non è giustificabile nessun motivo per la mattanza umana.

Per tutti gli altri casi – e sono davvero tanti… alcuni si sono verificati anche sotto casa di chi mi sta leggendo – non sempre ci sono, se non pretesti che si potrebbero risolvere con educate discussioni.

Per i femminicidi si fa riferimento a mentalità patriarcali o alla stupida pretesa maschilista del possesso della donna: un senso di dominio esclusivo, assurdo, esasperato, che inficia ogni rapporto fino a renderlo inguaribilmente malato. Inutili i tentativi di prevenzione, i numeri telefonici per denunciare gli uomini bruti, carnefici prevaricatori, cocainomani, sbandati. Costoro, o hanno stracciato la propria identità oppure nutrono un’autostima parossistica.

Ogni caso ha una sua storia, dalla più squallida alla più banale, ma nessuno di essi merita la pur minima scusante.

È strano anche il seguito ad omicidi o femminicidi avvenuti. Indubbiamente la magistratura ha regolamenti da applicare, gli avvocati incolpati da difendere; ma gli uccisi vi sembrano debitamente trattati? I loro parenti, il più delle volte, si rendono conto dei troppi giri e raggiri psicologici, psichiatrici e roba del genere, usata per alleggerire le condanne. Non solo, ma addirittura per i colpevoli condannati, non raramente c’è un pretesto scusante per alleggerire la pena e, a condanna avvenuta, c’è il premio di buona condotta.

Come spiegare questa malattia endemica della giustizia? Si ha paura che applicando la legge si corre il rischio di ritorsioni? Oppure, per quieto vivere, non si infierisce perché si stenta a trovare la verità dei fatti? O qualche papavero batte il pugno di ferro sul tavolo della giuria? Non saprei che rispondere. Conosco personalmente tanti onesti e preparati operatori di legge, ma di tanti altri si ha una serie di interrogativi che non hanno risposta.

Per cui capisco e condivido l’esclamazione popolare: poveri noi, chi ci difenderà se, come dicono a Napoli: “O meglio megliotene ‘a scabbia”?

Come si spiega che, ad ogni delitto, l’avvocato difensore parla subito di scusanti e si appella ad esame psichiatrico per rendersi conto della capacità di intendere e di volere del segnato nel libro degli indagati?

Intanto, si continua a uccidere anche per noia, per tedio della vita, per futili e superabilissimi motivi scambiati per reazioni di impeto, per raptus mentale, per momentaneo impulso omicida o roba del genere.

Si capisce allora l’esclamazione di paura: “Poveri noi, chi ci difenderà?”.

                                                                               + Lucio A. Renna

Vescovo Carmelitano

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