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ASPETTIAMO FIDUCIOSI DI METTERE GIU’ QUELLA MASCHERA … ma non dimentichiamoci di vivere

ASPETTIAMO FIDUCIOSI DI METTERE GIU’ QUELLA MASCHERA … ma non dimentichiamoci di vivere

A cura del doc Salvatore PUNGENTE


Inizialmente i nostri occhi avevano gia’ visto la paura  e conoscevano il dolore perche’ avevano imparato a guardarlo in faccia tutte le volte che in ambulatorio o in reparto si veniva a contatto con le tante e innumerevoli fragilita’ umane causate dalle terribili malattie. E dove le parole non potevano bastare avevamo la forza dei sorrisi ed il tempo dei gesti. In quelle notti di quei primi giorni chiudendo i nostri occhi non sapevamo ancora che il nostro sguardo sarebbe cambiato per sempre. Quei giorni sono calati all’improvviso, diversi, e lo abbiamo capito subito. Non erano notti buie, al contrario, erano piene di bagliori, luci al neon costantemente accese con effetto psichedelico quasi ci si trovasse in discoteca. Non erano giorni silenziosi, ma pieni di rumori, di sirene, di auto in corsa con i clacson che urlavano la priorita’ di arrivo in pronto soccorso, e soprattutto erano giorni di domande ancora senza risposte. Non erano giorni di riposo, erano pieni di corse contro il tempo senza sosta. E quei giorni si tramutavano in notti lunghe e tumultuose, interminabili, come un incubo dal quale non ci si riusciva a svegliarsi. Erano giorni e notti che hanno tolto il sorriso a molti, imbavagliando uomini e donne dietro a maschere tutte uguali, che ha tolto il tempo dei gesti, delle carezze e delle mani che si tengono strette. Tutto questo ha avvolto l’essere umano in tute pesanti  senza nome rubando il conforto vero degli abbracci. Purtroppo il respiro e’ diventato affanno in poco tempo e piu’ i reparti si affollavano e piu’ ognuno si e’ ritrovato solo. Ognuno di noi era solo sotto la propria maschera, ma anche solo nella propria casa svuotata dagli affetti per proteggerli e soli nella morte in tanti. Eravamo uniti nella battaglia ma soli nella grande fatica, quasi stremati, tutti ed ognuno, ognuno e tutti. Purtroppo eravamo tutti soli ma per fortuna per certi versi eravamo insieme, e questo ci ha dato la forza di non barcollare nel buio piu’ scuro di quei giorni in quelle notti senza fine. I nostri occhi non avevano ancora visto quella paura e non conoscevano ancora quel dolore. Ma dietro a quelle maschere piano piano abbiamo tutti imparato a sorridere, e quando le parole non potevano bastare, abbiamo imparato anche ad abbracciare insieme agli occhi ed insieme al cuore i pensieri che hanno cominciato a correre per diventare piu’ veloci del virus, provando a trovare soluzioni la’ dove sembravano non essercene. E con gli occhi, il cuore ed i pensieri, le risposte sono iniziate ad arrivare. Tanti colleghi sono andati nelle case della gente mentre noi eravamo in pronto soccorso e nei reparti diventati rifugio dei peccatori. Tanti colleghi sono entrati nel cuore delle loro storie, sono andati incontro a quei tanti occhi spaventati e dietro fredde maschere. Ma eravamo consapevoli e lo siamo tutt’ora che dopo ogni notte alla fine la luce inizia a filtrare. Sopra le nostre e loro maschere la gran parte ha imparato a parlare e spero arrivi presto il tempo ed il momento di mettere giu’ quella maschera del COme VIvere Dopo.

PS: ai tanti, carissimi, lettori del Giornale di Torre chiedo umilmente scusa ma le vicissitudini del mio sacerdozio lavorativo impongono al momento un breve periodo di riflessione forse conseguenza della particolare esperienza vissuta in prima linea e a 361 gradi nel periodo di massima sofferenza della nostra nazione. A presto e con immenso affetto e gratitudine.

 

doc Salvatore Pungente

 

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