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Dal dr Salvatore Pungente per i lettori del Giornale di Torre

IL PERIODO DEL BUCO NERO

dr. Salvatore Pungente

Io penso che sia fisiologico che si vogliano ricordare alcuni momenti della vita ma credo ci siano dei ricordi che si vorrebbe dimenticare a tutti i costi. Se un giorno dovessi e volessi raccontare ai miei nipoti quello che e’ successo all’umanita’ e a me personalmente, parlerei di un brutto momento dandogli il nome di periodo del buco nero. E questo perché non so ancora dargli una sorta di collocazione temporale, infatti si partiva da casa la mattina presto al buio e si rientrava alla sera sempre con il buio. Il percorso era sempre lo stesso: casa, ospedale, casa, doccia, cena, letto, ospedale. Ho avuto una stranissima sensazione ed ho percepito quasi la mancanza ed il salto di qualche mese sul calendario. Nel mio percorso formativo ho provato sulla pelle cosa rappresenta una maxiemergenza e vi assicuro che non e’ bella la sensazione che lascia, al contrario rimane una sorta di cicatrice che nessun tipo di intervento radicale o palliativo riuscira’ mai ad eliminare. In fin dei conti l’infezione da Covid 19 non ha fatto sconti a nessuno, ha colpito in maniera indistinta ricchi e poveri, anziani e giovani, uomini e donne. Pensavamo tutti di essere invincibili e invece ci ha fatto capire quanto siamo fragili e quanto si ha bisogno gli uni degli altri. Ricordo ancora quanti grandi scienziati hanno formulato teoremi, calcoli matematici, e alla fine che cosa e’ mancato se non il primo atto, il riflesso primordiale, il respiro. Ma ci siamo mai chiesti della sensazione che ci da’ l’aria quando entra dentro di noi e ci fa sentire vivi? Tutti quei pazienti cercavano l’aria e hanno sperimentato sulla loro pelle cosa vuol dire annegare. E in fondo questa e’ la stessa sensazione che mi assale quando mi ritornano come flash quei momenti in cui l’unico rumore assordante che si sentiva, oltre quello delle ambulanze, era quello dell’ossigeno delle bombole, dalle mascherine, dai caschi delle CPAP, dagli allarmi dei monitor e dei tantissimi ventilatori. Ho visto tanta gente morire ma ho visto anche tanti professionisti che hanno dato tutto quello che potevano e anche di piu’. Medici, infermieri, OSS, ausiliari, autisti, tecnici, in tanti si sono improvvisati mariti, mogli, figli, nipoti, prendendosi cura allo stremo. Mi sono chiesto tante volte e continuo a farlo ancora oggi, chi si prendera’ cura di loro alla fine di questa emergenza. E mi domando se siamo sicuri che tutto sia finito, che sia finita, che abbiamo vinto questa battaglia, forse la battaglia ma non la guerra. In questo particolare momento in cui si attua la grande campagna vaccinale, stiamo cercando di riappropiarci della normalita’, ma ovviamente e’ molto difficile. Credetemi, non riesco proprio a sopportare tutti quei sapientoni che danno interpretazioni, parlano di numeri, fanno delle previsioni, emettono quasi sentenze, fanno quasi compromessi con le proprie idee riducendosi alla mediocrita’. E stare a guardare tutte queste persone, tutta questa gente che fa finta di niente, che ricomincia ad avere le stesse abitudini di prima e soprattutto che vive come se non fosse successo nulla, tutto questo mi irrita, m rende irascibile, mi fa dire che probabilmente non abbiamo capito un emerito. Io credo che avremo bisogno di fermarci un attimo per capire e pensare, per guardarci intorno con occhi nuovi e diversi, per ripensare all’assistenza e all’organizzazione, ma in un modo nuovo. E invece cosa vedo, che tutti vogliono ritornare come prima. Mi dispiace, non sono d’accordo, voglio scendere da questa barca. A me piacerebbe invece che tutti divenissimo meglio di prima. Ancora oggi ci sono pazienti che stanno combattendo e familiari che stanno sperando. Ci sono famiglie che sono state messe in ginocchio dal dolore di avere perso una persona cara senza aver potuto stringergli la mano. Ci sono figli rimasti soli e ci sono tanti bambini che non avranno piu’ la possibilita’ di giocare con i nonni. E la cosa che voglio dire a coloro che sono rimasti soli e’ che noi eravamo lì e ci saremo ancora, che abbiamo fatto del nostro meglio per non farli sentire abbandonati.
All’inizio ho parlato di buco nero perché come molti ho vissuto tempo sospeso fatto di immagini di citta’ vuote, spopolate, disilenzi quasi irreali, di abitudini stravolte e di mancati e freddi contatti, un periodo che ci avra’ cambiato? Io ancora non lo so, ma di sicuro ha contribuito a renderci piu’ resilienti e ad aumentare la nostra voglia di normalita’ insegnandoci ad apprezzare la concretezza delle piccole cose che ovviamente sappiamo bene, sono quelle che contano, da sempre.
E allora vale la pena fare delle riflessioni nate dopo aver digerito quei mesi durante i quali si correva e l’adrenalina era a mille, quando il cuore batteva all’impazzata ed ogni forma di ritmo circadiano veniva sovvertita, stravolta e travolta. L’essere umano (o disumano?) pur essendo la razza dominante sulla terra e che erroneamente si ritiene quasi legittimato a fare qualsiasi cosa in qualsiasi modo, si dimentica che e’ una specie vivente come tutte le altre, verso le quali spesso non ha rispetto ed e’ stato messo in ginocchio dalla natura che non ha usato le sue forze piu’ tremende come avrebbe potuto fare. Al contrario ha usato un semplice e microscopico essere vivente circa 600 volte piu’ piccolo di un capello. Ed io credo che abbia voluto mandarci un messaggio subliminale.
In secondo luogo non dimentichiamo che la medicina non e’ una scienza infallibile, non e’ onnipotente, non sa molte cose al contrario di quanti e molti stranamente pensano. Socrate ci ricorda che saggio e’ colui che sa di non sapere, quindi lo scienziato che sa bene di non sapere deve continuare a ricercare e pensare. Il Covid 19 ha fatto capire proprio questo. A questa riflessione si ricollega la nuova definizione di salute recentemente pubblicata dalla organizzazione mondiale della sanita’. Secondo la vecchia definizione del 1948 si indicava come salute “uno stato di completo benessere fisico, psichico, emotivo e sociale”. Secondo la nuova definizione invece presentata nel 2011 si definisce salute “la capacita’ di adattamento e di autogestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Questa nuova definizione pone l’accento sulla capacita’ dell’uomo/persona di convivere la malattia nelle sue varie fasi. Questa proposta ovviamente pone al centro del ragionamento la persona che grazie alle proprie risorse interne tipiche di ciascuno, puo’ affrontare con successo particolari condizioni di malattia e disabilita’.
Inoltre come spesso mi piace ripetere COVID non sta per coronavirus ma per come vivere dopo. Ma dopo cosa, dopo questa crisi! Etimologicamente crisi deriva dal greco Krisis, che vuol dire scelta, decisione. Nella scrittura cinese la parola crisi si scrive con due caratteri, uno ha un concetto negativo che si traduce in pericolo, difficolta’, invece l’altro esprime un concetto positivo che si traduce in opportunita’, cambiamento, rinnovamento. Pertanto al di la’ dei lutti e delle sofferenze provocate dal Covid dovremmo vedere la crisi generata come una sorta di necessita’ di cambiamento, di revisione in tutte le nostre abitudini, compreso il rapporto con gli altri. E per vivere meglio e piu’ tranquilli oggi ed in futuro, occorre piu’ pianificazione e meno improvvisazione.
E per concludere il messaggio di tutta questa esperienza e’ la compattezza, il sentirsi tutt una grande squadra dove ciscuno fa bene il proprio lavoro, ognuno fa la sua parte, evitando le polemiche, le divisioni, per un obiettivo ed un bene comune assai superiore, la vita! Perche’ ognuno e’ un essere unico, vivo ed irripetibile. Mi piace spesso ricordare la frase del Santo Padre quando dice insieme ce la possiamo fare. Quell’avverbio insieme richiama proprio quella sorta di volonta’ e desiderio di relazione armoniosa, di partecipazione, di intenti comuni per realizzare la ripresa dell’intero paese e forse il tanto atteso ammodernamento del sistema sanitario nazionale, un vero patrimonio misconosciuto.
Buona estate.
doc Salvatore Pungente

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