W LA LIBERTA’
a cura del Preside prof. Luigi Pranzo
Va molto di moda, oggi, celebrare la liberazione sessuale. Chiunque provi a dubitare delle conquiste seguite all’esplosione dei sensi viene considerato bigotto o di mentalità medievale. Naturalmente per esaltare la bontà di questa conquista sono stati taciuti gli effetti negativi che la cosiddetta liberazione ha portato, sia per la donna, se sposata, che per i figli. Il “ desiderio “, anche quello più sfrenato è stato messo al centro perché si è pensato che, in tal modo, l’umanità sarebbe stata più felice. E in nome di questo traguardo importante, in nome della libertà, le donne occidentali, e particolarmente quelle italiane, hanno cominciato a marciare per le strade con grandi cartelli con la scritta : “ Io sono mia… “ o con frasi molto più creative sulle frontiere aperte della propria anatomia. Così, anziché marciare per difendere i diritti civili delle tantissime donne, di ogni angolo del mondo, ridotte ancora in schiavitù, hanno preferito marciare per difendere un nuovo modo di sentire il piacere; un nuovo modo per liberarsi dalle costrizioni, dal bigottismo, dalle autocensure, dalla stretta necessità delle relazioni sentimentali. Pertanto, le manifestazioni, come quella programmata nella Bassa Padana ( Castiglione delle Stiviere – Mantova ) l’8 dicembre scorso, sulla cui locandina campeggiava la figura di una donna nuda mentre palpeggia le sue parti intime, intendono abbattere ogni limite al concetto di libertà, per attribuire un valore medievale alla famiglia, al matrimonio, all’amore, ma soprattutto alla fedeltà. Intanto, è fortemente antipatico attribuire al medioevo un valore deteriore, sprezzante, se si considera quello che, di quell’epoca, è arrivato fino a noi, perché il medioevo è stato un periodo incredibilmente felice e glorioso per il nostro Paese. I nostri artisti- artigiani, in quel periodo, hanno costruito cattedrali, ancora in piedi, di una sublime bellezza; Dante Alighieri ha scritto La Divina Commedia, Giotto ha affrescato La Natività, giusto per citarne qualcuno. Certo, al matrimonio, alla famiglia, alla fedeltà, alla castità, doveva essere attribuito un valore non più apprezzabile da chi sente di non essere capace di tener fede a certi impegni; da chi è sempre in balia di nuove emozioni. In verità, quando non si riesce a tener fede ad un impegno assunto, deve necessariamente esserci un difetto a monte: o la promessa di quell’impegno, forse limitatamente a quella circostanza, era falsa o era falsa in tutti i sensi la persona che ha generato quel modello di impegno, perché abituata a convivere con la menzogna in tutte le azioni della sua vita. L’innamoramento nasce nel cervello e non nel cuore; esso nasce nello stesso posto in cui nasce il pensiero e se il pensiero non lo vuole, il nuovo innamoramento non può avvenire. Oggi giorno l’infedeltà, la spregiudicatezza, la disinvoltura nell’accogliere tutto ciò che un tempo era considerato amorale denotano coraggio, capacità di adeguarsi ai tempi, determinazione nell’abbattere tutto ciò che ha il sapore della costrizione. Eppure le leggi religiose e quelle civili, ancora fino ad oggi, cercano di mettere un freno: la chiesa impegna con un giuramento, davanti a Dio, coloro che si sposano con rito cristiano, ad essere fedeli fino alla fine della propria esistenza; l’art. 143 del Codice Civile sostiene che “ dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà “. L’infedeltà costituisce, quindi, una violazione degli obblighi matrimoniali con conseguente “ addebito “, vale a dire perdita, secondo il codice civile, di assegno di mantenimento e diritto all’eredità del coniuge, anche se l’infedele, risulta essere disoccupato e nulla tenente Ma tutto questo non riguarda le persone che decidono di costituire semplicemente una coppia di fatto, legalizzata da uno Stato sempre più laico; non riguarda le persone per le quali la “ famiglia “ è soltanto un sostantivo démodé; non riguarda le persone che hanno giurato lealmente fedeltà, né quelle persone il cui modo di pensare e di agire risulta essere medievale rispetto alla “ nouvelle vague “, e men che mai può riguardare coloro che sono ancora capaci di dirsi reciprocamente: “ Se partirò dopo di te, sarò al tuo fianco e stringerò le tue mani nelle mie fino a quando non esalerai l’ultimo respiro.”